Patrimonio UNESCO: la cucina italiana candidata 2023

Aprile 14, 2023

Interviste News

L’Italia è il Paese che detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista del patrimonio mondiale UNESCO. Sono ben 58 quelli riconosciuti “patrimonio dell’umanità” e 16 gli elementi nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale.

Nel 1972 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura adotta la Convenzione per proteggere i siti di “eccezionale valore universale” e nasce così la definizione di “patrimonio mondiale”. Una lista che include siti naturali, archeologici, monumenti, dimore storiche, ville, città e isole. Il patrimonio culturale di una nazione però comprende anche arti dello spettacolo, tradizioni, linguaggi, pratiche e riti trasmessi tra generazioni: dal 2003 l’Unesco ha così adottato la Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.

Pier Luigi Petrillo

Scambiamo due chiacchiere con il Professor Pier Luigi Petrillo, Past President dell’Organo degli Esperti Mondiali della Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale e direttore della Cattedra UNESCO in Patrimonio Culturale immateriale e Diritto Comparato dell’Università di Roma Unitelma Sapienza. Tra i vari dossier che ha curato, spiccano anche quelli relativi al patrimonio immateriale e collegati – in senso lato – alla gastronomia. Dieta Mediterranea, l’arte del pizzaiuolo napoletano e ora anche la cucina italiana.

Professore, quanto è importante tutelare il saper fare nei settori di eccellenza nei quali l’Italia è riconosciuta universalmente? 

I patrimoni culturali immateriali rappresentano il nostro passato e, al contempo, il nostro futuro. Essi descrivono da dove veniamo, quali sono le nostre radici, quale sia il nostro bagaglio culturale e solo conoscendo tutto questo possiamo costruire nuove strade. Se non proteggessimo questi patrimoni, oltre a perdere la nostra identità, non sapremo dove andare. Per questo è fondamentale proteggere i saper fare. 

Ci racconta la genesi della candidatura della cucina italiana?

L’idea della candidatura è nata per volontà della rivista La Cucina Italiana, fondata nel 1929 e da allora vero e proprio contenitore culturale della storia gastronomica del nostro paese. La rivista ha costituito un comitato di lavoro composto da altre comunità come la Fondazione Casa Artusi, l’Accademia italiana di cucina, il Collegio Culinario. Il Comitato è stato coordinato dal professor Massimo Montanari dell’Università di Bologna e universalmente noto come uno dei massimi esperti al mondo sul tema. Un anno fa mi è stato chiesto di dare una mano, con spirito volontaristico, a questo progetto ed è così che è nato il dossier.  

Poco più di un anno fa lei è stato eletto Presidente dell’Organo degli esperti mondiali della convenzione UNESCO per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale: qual è il bilancio di questa prima annualità?

Nel 2018 sono stato eletto componente dell’organo degli esperti mondiali e nel 2022 presidente. L’incarico si è concluso a febbraio 2023. Si è trattata di un’esperienza umana e professionale straordinaria che mi ha consentito di conoscere la ricchezza delle culture di tutto il mondo. È stata anche un’esperienza faticosa perché sentivo la responsabilità di essere il primo e unico europeo, nonché il primo e unico giurista, ad assumere questo incarico.  

Un aspetto essenziale riguarda la candidatura, un altro riguarda le attività di comunicazione a supporto. Quanto è importante formare una classe di divulgatori in grado di dischiudere il nostro patrimonio con l’obiettivo di incentivare il turismo culturale e gastronomico?

La formazione è fondamentale specialmente perché registro una specie di schizofrenia sul tema. Da un lato, verifico sempre un maggiore interesse verso il riconoscimento UNESCO. Dall’altro, vedo una sempre maggiore ignoranza rispetto ai tanti programmi, progetti, convenzioni promossi dall’UNESCO per salvaguardare la cultura, la biodiversità, il paesaggio e promuovere l’educazione permanente. Occorre quindi assicurare percorsi formativi continui e costanti che sappiano formare nuove professioni e offrire adeguate competenze ai tanti attori che vogliono lavorare nel contesto internazionale per salvaguardare il nostro patrimonio, culturale e naturalistico


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