Sullo schermo una figura umana si muove guidata dai comandi di un controller: va avanti e indietro, a sinistra e a destra, salta e corre. Con gli stessi comandi si può trottare in sella a un cavallo, o solcare acque color blu intenso a bordo di una piccola imbarcazione, o pilotare un elicottero e godersi la vista dall’alto di un paesaggio selvaggio.
Sembra la descrizione del gameplay di un videogioco come Grand Theft Auto o Red Dead Redemption, e invece si tratta di Remote Tourism, un progetto lanciato dalle Isole Faroe nella primavera del 2020.
Riavvolgiamo il nastro. A marzo 2020 il mondo iniziava a familiarizzare con le parole Covid-19 e lockdown: il virus aveva raggiunto ogni angolo della Terra, tutte le nazioni applicavano restrizioni alla mobilità e chiusure per far fronte alla pandemia. Una catastrofe, per un settore come quello del turismo. Soprattutto per quei paesi la cui economia si basa sui visitatori provenienti dall’estero, come nel caso delle Isole Faroe. Questo arcipelago di 18 isole vulcaniche rocciose situate tra l’Islanda e la Norvegia nell’oceano Atlantico del Nord è infatti una meta amatissima da escursionisti e appassionati di birdwatching di tutto il mondo. E la reazione delle Isole Faroe a quell’emergenza non si è fatta attendere. Ed è stata spettacolare: sono passati solo dieci giorni dall’ideazione al lancio di Remote tourism.
Come ha raccontato Guðrið Højgaard, direttrice di Visit Faroe Islands, si tratta di un modo “per dare la possibilità, alle persone che hanno dovuto cancellare il loro viaggio e a chiunque altro, di visitare l’arcipelago” attraverso gli occhi, le orecchie e i corpi dei locals. Ma in che modo?
Un semplice video sarebbe stato piuttosto banale, soprattutto in un momento come quello del primo lockdown, quando miliardi di persone chiuse in casa si sono trovate sommerse di contenuti, soprattutto audiovisivi. La svolta è racchiusa in una parola chiave: gamification. Gli utenti passano dall’essere fruitori passivi di un contenuto a veri e propri player, che non “subiscono” un tour guidato, ma hanno il pieno controllo e possono esplorare davvero uno spazio, immersi in un’esperienza coinvolgente e divertente.
È quello a cui ci hanno abituato i videogiochi. Pensate ai sopracitati GTA e Red Dead Redemption: il giocatore può abbandonarsi a flânerie in città ispirate a Miami e Los Angeles o nelle praterie del Texas e del New Mexico.
Non è la prima volta che le Faroe dimostrano di saper attingere al serbatoio della creatività: è infatti del 2016 il progetto Sheep View 360. Al tempo Google Street View aveva coperto quasi tutta l’Europa, incluse l’Islanda e alcune zone remote della Norvegia, ma non le Isole Faroe. È allora che Durita Andreassen di Visit Faroe Islands si inventa un modo per far vedere a Google cosa si stava perdendo: monta delle videocamere 360° sul dorso di alcune pecore (animale simbolo dell’arcipelago), che così, durante le loro passeggiate, registrano tutta la bellezza del paesaggio faroese.
Tra Sheep View 360 e Remote tourism c’è però una differenza sostanziale: nel secondo caso sono le persone che diventano parte attiva dell’esperienza. Non si limitano cioè a essere spettatori di un video girato da una pecora, ma si trasformano in giocatori. Il controllo, anzi, il controller, è passato a loro.
La gamification è uno strumento fondamentale per il settore turistico e, per usarlo al meglio, è necessario un cambio di paradigma: il punto diventa immaginare e progettare esperienze, sia fisiche che digitali, che siano coinvolgenti, divertenti, rilevanti e memorabili, che offrano al pubblico spazi di azione, interazione e reazione, come già fanno i videogiochi. Esperienze che pongano al centro le persone, dando loro la possibilità di interagire con gli spazi e con la storia progettata per quegli spazi.
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