«Non è che si esprima niente, scrivendo. Si costruisce un’altra realtà, che è parola», diceva Cesare Pavese. È nella città natia dello scrittore piemontese che si terrà la Scuola di scrittura organizzata da Treccani Accademia e dalla Fondazione Cesare Pavese Le parole dell’enogastronomia che sarà dedicata al cibo e a tutto il mondo che ci gira intorno, dal vino al territorio, dall’ospitalità alla sostenibilità.
Abbiamo chiesto ad alcuni docenti e persone coinvolte nel progetto, come Pierluigi Vaccaneo, direttore della Fondazione Cesare Pavese, al giornalista enogastronomico Marco Bolasco, già Amministratore Delegato di Slow Food editore, e alla giornalista Alessia Peraldo Eusebias, cosa vuol dire oggi scrivere di cibo, e ci hanno dato qualche anticipazione sulla Scuola di scrittura.
Cesare Pavese è stato tra i più grandi narratori del Novecento italiano, in che modo le sue parole e la letteratura in generale ci possono aiutare nella comunicazione delle realtà legate all’enogastronomia?
Pierluigi Vaccaneo:
Cesare Pavese ha costruito la sua letteratura sulla sperimentazione e contaminazione linguistica. Lo scrittore, a inizio Novecento e in un periodo tronfio di retorica di regime, guarda alla lingua e letteratura americana come a un serbatoio di innovazione e freschezza narrativa e da quell’esperienza, approcciata con l’attenzione del traduttore, Pavese trae la linfa per l’elaborazione dello stile che caratterizzerà ogni sua produzione poetica e narrativa. La scrittura di Pavese è un ibrido tra la democraticità di una lingua nazionalmente riconosciuta e la potenza semantica e identitaria del dialetto. La lingua di Pavese è netta, sintetica, quotidiana, ma al tempo stesso simbolica e fortemente evocatrice di un passato antico e lontano e quindi paradigmatica, comune a ciascun lettore: in questo stanno l’unicità e la grandezza della ricerca linguistica pavesiana.
Da questa esperienza letteraria, che ha rappresentato un modello di rottura rispetto al canone del periodo, possiamo imparare il valore positivo e creatore della contaminazione, della diversificazione, della sperimentazione e dell’innovazione. Pavese diceva di voler «versare il sangue del dialetto nella lingua italiana» e questo voleva dire per quel tempo dare vita, ravvivare uno strumento, quello linguistico, che non riusciva più a definire e a essere narratore della realtà in continua evoluzione come quella italiana tra le due guerre. Mutuare questa esperienza all’oggi significa adeguare la lingua alla realtà, cercare di renderla il più possibile specchio del presente sempre mantenendo una forte identità semantica grazie all’affondo nel passato: il risultato è uno strumento che coniugando realtà e mito permette allo scrittore e al lettore di attivare un dialogo intimo e interiore. Quando si manifesta questa epifania, siamo di fronte a una letteratura immortale e la letteratura di Pavese lo è quanto le colline che l’hanno stimolata.
In un certo senso il mondo della comunicazione enogastronomica ha la stessa necessità: usare strumenti adeguati all’oggi per narrare tradizioni e culture che affondano le loro radici nelle storie delle famiglie, dei territori, delle comunità. Riuscire a coniugare queste due esigenze vuol dire trovare uno stile, un tono di voce, uno strumento non solo utile a divulgare ma anche a custodire qualcosa di eterno.
Cosa vuol dire scrivere di enogastronomia oggi?
Alessia Peraldo Eusebias:
Scrivere di enogastronomia oggi significa raccontare storie. Storie di eccellenze, di prodotti più o meno noti, di produttori e di chef che con il loro lavoro trasmettono valori, passione e tramandano le tradizioni del nostro Paese ma anche storie di creatività, ricerca, innovazione e coraggio. Nel mio caso, oltre alle parole, per raccontare l’enogastronomia utilizzo le immagini che guidano lo spettatore in un’esperienza ancora più coinvolgente, magari incuriosendo anche chi non ha mai pensato di soffermarsi a scoprire per esempio gli aneddoti che si celano dietro a un semplice piatto ordinato in un ristorante.
Marco Bolasco:
È qualcosa di molto più complesso ma anche più interessante di prima. Oggi l’enogastronomia non è più letta tanto come un argomento per appassionati del tema o, peggio ancora, per gourmet, ma è un mondo da scoprire in chiave molto più olistica, perché è un qualcosa che investe tutti noi, sia come patrimonio culturale che dal punto di vista degli stili di vita. Oggi pensare all’enogastronomia vuol dire pensare al nostro rapporto con le cose, con il pianeta, con i consumi, con i produttori. Non è più scrivere di cibo o di piacere intorno al cibo, ma vuol dire scrivere storie di uomini, di terra, di lavoro. Attraverso l’enogastronomia passa una grossa fetta del futuro del sistema paese, perché sappiamo quanto dietro l’enogastronomia ci siano aziende, progetti di sviluppo, turismo.
Pierluigi Vaccaneo:
Chi scrive di enogastronomia ha una grande responsabilità perché scrivere di enogastronomia significa raccontare la storia, attraverso la cucina, della nostra nazione; e si tratta di una storia che è fatta di sperimentazioni, di contaminazioni, di inclusione, di tradizioni ma anche e soprattutto di mescolanze e di diversità. Ogni regione, ogni città, ogni piccolo comune, ogni comunità, ogni famiglia ha una propria personale usanza che differisce da quella del vicino di casa ma racconta una storia più antica e comune a tutti. Chi scrive di enogastronomia deve saper vedere questa diversità, una diversità che non è omologazione ma è essa stessa racconto, narrazione e dunque sempre viva e in evoluzione.
Perché, oggi, è importante parlare di sostenibilità quando si parla di enogastronomia e turismo?
Alessia Peraldo Eusebias:
Oggi è importante parlare di sostenibilità in ogni ambito – inclusi enogastronomia e turismo – perché prenderci cura del pianeta in cui viviamo è fondamentale per il nostro futuro e per quello delle prossime generazioni. Chi lavora nella comunicazione ha il compito di sensibilizzare e di raccontare come prediligere prodotti a basso impatto ambientale, a km 0, optare per vacanze green e come rispettare l’ambiente sia una scelta consapevole e positiva, per sé e per gli altri. Sostenibilità ambientale ma anche economica e sociale che si riflettono in ogni ambito della vita.
Marco Bolasco:
Oggi parlare di sostenibilità è importante in qualsiasi ambito, ma ancora di più quando si parla di consumi. Attraverso l’enogastronomia passa un nostro modo di consumare i prodotti, ma anche di relazionarci con il territorio. Il ruolo di chi consuma è un ruolo attivo, oggi chi sceglie di comprare un olio rispetto a un altro, chi sceglie di affidare le proprie economie a un piccolo produttore invece che a un grande soggetto industriale, chi sceglie di investire in farina di grano antico, di fatto fa un atto che alcuni definiscono politico, sicuramente un atto consapevole. La sostenibilità oggi quindi non si esprime solo come rispetto per l’ambiente ma può essere acquistare dalla filiera corta, tornare a conoscere prodotti poco conosciuti rispetto a prodotti massificati, può significare prestare attenzione ad aziende che hanno particolare sensibilità sui temi energetici e del lavoro.
Pierluigi Vaccaneo:
Il tema della sostenibilità deve essere oggi trasversale e riguardare ogni nostra attività produttiva quindi a maggior ragione deve riguardare l’enogastronomia e il turismo, eccellenze italiane e ambiti in cui la cura, la custodia e la tutela del territorio sono alla base della nostra riconoscibilità nel mondo. La sostenibilità deve diventare più che una linea guida, deve essere sempre più un fatto culturale cui riferirsi. Per questo servono educazione e formazione, fattori abilitanti per il cambiamento dei processi di produzione culturale che d’ora in poi dovranno prevedere sempre maggiore attenzione alla sostenibilità in tutte le sue sfaccettature. Il nostro compito è dunque quello di favorire e avviare questo cambiamento in modo da consegnare alle nuove generazioni, più pronte di noi ai temi della sostenibilità, un ecosistema produttivo già attrezzato e pronto.
Quali sono alcune parole chiave di cui si parlerà durante questa edizione della Scuola di scrittura Le parole dell’enogastronomia: cibo, vino e territorio?
Alessia Peraldo Eusebias:
Dal territorio alla bellezza, dall’esperienza all’ospitalità, fino al futuro. Ogni parola chiave di questa Scuola di scrittura invita a soffermarsi su un aspetto diverso del patrimonio enogastronomico italiano, per conoscerlo meglio attraverso i racconti di chi se ne occupa ogni giorno e per imparare ad apprezzarlo in ogni sfaccettatura acquisendo maggiori competenze.
Marco Bolasco:
Abbiamo deciso di articolare la Scuola di scrittura intorno a una serie di parole come concetti chiave, questo perché oggi il tema della narrazione sull’enogastronomia può essere affrontato da diversi punti di vista e con moltissimi obiettivi diversi. Oggi narrare l’enogastronomia non vuol dire fare solo i giornalisti, può significare lavorare per un’azienda e curarne il marketing, può significare approcciare un’istituzione e i progetti a essa relativi, come ad esempio Le strade del vino, progetti che coinvolgono le istituzioni locali. Penso anche a quello che si sta iniziando a fare per l’educazione al gusto nelle scuole, e penso al mondo dei social che utilizza il cibo e il racconto del cibo come uno dei suoi veicoli più forti, attraverso l’immagine e la parola. Abbiamo scelto alcune parole, come cibo, ospitalità,vino, sostenibilità o linguaggio, perché volevamo dare a tutti una prospettiva originale. Crediamo che in questa Summer School soggetti diversi possano trovare il proprio percorso, una via d’ingresso ma soprattutto uno sbocco d’uscita. Oggi attraverso la narrazione del cibo passano diverse occasioni professionali.
Pierluigi Vaccaneo:
Le parole guida che abbiamo individuato per rappresentare questo percorso di formazione e conoscenza nelle terre di Cesare Pavese sono molte e tra di esse vorrei sottolineare la parola futuro. La responsabilità che abbiamo noi operatori culturali in questo preciso momento storico è quella di lavorare per il futuro della fruizione e produzione culturale, per far sì che la cultura diventi uno spazio, una piattaforma di scambio, condivisione e crescita individuale e comunitaria della nostra collettività. Una società così coesa, riunita attorno al falò culturale, è una società che può affrontare con forza, convinzione e consapevolezza le urgenti sfide ambientali e sociali che la quotidianità ci sta ponendo. Il mondo dei nostri figli sarà diverso dall’attuale e la cultura è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per attrezzarci a trovare nuove soluzioni, nuove opportunità di innovazione, di crescita e sviluppo. Il cambiamento è oggi e ogni cambiamento ha bisogno di una narrativa che lo possa sostenere e incoraggiare: la nostra Scuola di scrittura vuole essere questo momento di costruzione, attraverso le parole, del futuro.
Ci racconti la tua parola chiave?
Alessia Peraldo Eusebias:
La mia parola chiave è narrazione: un termine con cui tutti abbiamo dimestichezza perché la utilizziamo ogni giorno semplicemente per esprimere idee e raccontare i fatti della vita quotidiana. La maggior parte delle nostre conoscenze deriva da una narrazione che per essere efficace però ha delle regole, in continua evoluzione. Il mio auspicio per questa lezione è quello di condividere la mia esperienza in materia di narrazione nel mondo dell’enogastronomia ma soprattutto di trasmettere l’amore per le parole e per tutte le declinazioni di storytelling che si possono utilizzare per raccontare in modo semplice e chiaro ogni argomento, da un evento o una fiera internazionale alla ricetta di una torta o di un piatto di pasta.
Marco Bolasco:
La mia parola chiave è libro. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un affascinante boom di libri sull’enogastronomia, talvolta legati a fenomeni di massa, alla tv, agli chef. Ora siamo in una fase in cui questi soggetti vanno appena meno di moda, ma l’interesse per queste materie è addirittura cresciuto. Attraverso il libro passa la cultura materiale, anche perché l’enogastronomia è un pezzo importantissimo del nostro patrimonio culturale. In Italia questo patrimonio è spesso trasmesso per via orale, perché fa parte delle tradizioni popolari e familiari, ma attraverso un buon libro si trasmette in formato scritto, e resta a disposizione di tutti, può essere consultabile e utilizzabile anche dai più giovani.
Pierluigi Vaccaneo:
La mia parola, cibo, mi fa venire in mente Eufemia, una delle città invisibili di Italo Calvino, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Calvino ci descrive una città dove i mercanti di sette nazioni convergono a ogni solstizio e equinozio. Eufemia è la città dove questi mercanti si scambiano carichi di zenzero, pistacchi, semi di papavero, noce moscata, zibibbo e altre materie prime e merci. Ma, così aggiunge Calvino:
«Non solo a vendere e a comprare si viene ad Eufemia, ma anche perché la notte accanto ai fuochi tutt’intorno al mercato, seduti sui sacchi o sui barili o sdraiati su mucchi di tappeti, a ogni parola che uno dice – come “lupo”, “sorella”, “tesoro nascosto”, “battaglia”, “scabbia”, “amanti” – gli altri raccontano ognuno la sua storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbi, di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando per restare sveglio al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare tutti i propri ricordi a uno a uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua sorella una sorella diversa, la tua battaglia altre battaglie, al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio».
Il cibo, che tu sia mercante o commensale, significa cultura, tradizione, scambio, narrazione ed esperienza. La nostra Scuola di scrittura vorrà essere come la città di Eufemia: un luogo da cui tornare arricchiti dalla condivisione della propria memoria.
La Scuola di scrittura Le parole dell’enogastronomia è organizzata da Treccani Accademia e da Fondazione Cesare Pavese. Sono disponibili borse di studio a copertura totale e altre agevolazioni economiche. Per maggiori informazioni, visitate il sito o contattateci per maggiori dettagli.