Immergersi nella cultura americana attraverso tour letterari (e non solo)

Dicembre 15, 2022

Interviste

Marta Ciccolari Micaldi, in arte La McMusa, racconta l’esperienza dei BookRiders e i viaggi su misura che uniscono cultura e turismo.

Oggi sempre più persone desiderano viaggi che vadano oltre il semplice turismo, esperienze immersive e su misura che superino le classiche immagini da cartolina e i luoghi più battuti. Una tendenza visibile già tempo fa, con il boom di guide come le Lonely Planet, che danno consigli per fare esperienze autentiche e vivere città e paesi come li vivono le persone che li abitano, che ha subito un’accelerazione negli ultimi anni.  Per questo stanno nascendo nuove figure professionali nel settore turistico che devono saper unire il marketing e lo storytelling con capacità di progettazione e di organizzazione non solo di itinerari, ma di vere e proprie esperienze che permettano di immergersi nella cultura di un luogo. È questo uno dei temi su cui si concentra il nostro Master Tourism Experience Design, che ha l’obiettivo di formare i futuri designer e manager di un settore in evoluzione ed espansione.

Abbiamo parlato delle skill necessarie per creare esperienze uniche e su misura, che uniscano cultura e turismo, con Marta Ciccolari Micaldi, in arte La McMusa, che da diversi anni organizza tour letterari (e non solo) negli Stati Uniti.

Come è nato il tuo desiderio, non solo di viaggiare, ma di rendere ancora più entusiasmanti i viaggi degli altri?

Marta Ciccolari Micaldi, fotografia di Elena Datrino

I percorsi che faccio con i BookRiders sono nati perché facevo dei corsi di letteratura americana in Italia che erano strutturati come veri e propri viaggi. Era un modo per raccontare l’America usando la letteratura e i libri come guida per scoprire il territorio. Poi ho pensato: perché non farli davvero, e non solo sulla carta? Il passaggio dal virtuale al reale è stato dettato dalla voglia di far conoscere gli USA come li stavo esplorando io. Il mio è un proposito più giornalistico che turistico: far fare l’esperienza alle persone, portarle in posti dove altrimenti non andrebbero da sole, portarle anche nei luoghi turistici, sì, ma con un taglio più esperienziale. Ti faccio conoscere l’America reale attraverso i viaggi e i libri e le storie che la caratterizzano, fuori dal semplice circuito turistico.

La cultura ha un ruolo importante nella costruzione dei tuoi itinerari e nelle scelte dei luoghi da visitare. Che impatto hanno letteratura, cinema e musica sull’esperienza turistica?

Hanno un impatto totale. Questi tour non sono incentrati sulle location di qualche libro o film, queste visite occupano solamente un 10% delle tappe. Io cerco di elaborare degli itinerari: vado prima per esplorare lo stato in questione e sulla base delle mie ricerche culturali e letterarie, sulla base di quello che vedo ed esploro, metto insieme la parte culturale e la parte geografica in modo tale che dialoghino tra loro. Quello che mi interessa è mettere in relazione la storia che sto leggendo con quello che le persone vedono e vivono nel viaggio. Si crea una connessione di cui sono mediatrice in quel momento, una connessione che non è immediata. La mia presenza riporta quello che si vede e si vive a un contesto culturale e soprattutto letterario, con incursioni nelle serie tv, nella musica e nel cinema. Ho coniato questa definizione di “guida letteraria” perché gran parte del lavoro è studiare questi itinerari. Ad esempio, sono nel Black Canyon, in Colorado, cosa leggo qui? Cosa posso leggere con le persone che verranno qui? Magari trovo un romanzo che parla di apocalisse ambientale e leggendo lì quel libro si crea una connessione tra il Black Canyon e il tema ambientale. In questo modo le persone hanno una conoscenza di entrambe le cose che diventa molto arricchente.

Quali sono i luoghi degli Stati Uniti che hai scoperto prima nei libri, o nei film e nelle serie tv, e che non potevi fare a meno di visitare?

Un buon esempio sono i sobborghi che si trovano ovunque e sono una realtà sociale e geografica molto peculiare: cinture e cinture, chilometri e chilometri, e in Europa non abbiamo idea di che cosa siano. Una realtà che ha un risvolto molto ampio in letteratura, nel cinema e nelle serie. È un contesto in cui i turisti di solito non vanno. Eppure si tratta di un posto distintivo dell’America in cui bisogna andare per capire molte cose del paese. Stessa cosa con i deserti, che uno si immagina magari pieni di dune di sabbia, ma che negli USA hanno spesso le sembianze di lande infinite con pochissima vegetazione. Possono essere spettacolari ma anche molto sinistri, e ospitare le Ghost Town. Altro posto che se non vedi dal vivo non sai come immaginarti. Sono zone che ho visto prima nei libri e nei film e nelle serie e ho pensato che sarebbero state indispensabili sia per me che per le persone che porto con me.

Com’è cambiato secondo te il ruolo di chi si occupa di Tourism Experience Design negli ultimi anni?

Quando siamo stati fermi per via del Covid, mi sono resa conto che le persone avevano davvero bisogno di una figura che li portasse a viaggiare in modo diverso. Succedeva anche prima, certo, ma dopo la pandemia molte persone vogliono riconquistare il mondo in un modo più sostenibile, più curioso, più particolare, più studiato. E fanno affidamento a figure professionali che aggiungono un taglio personale.

Quali sono le skill necessarie per lavorare oggi in questo settore, soprattutto a livello comunicativo?

Curiosità senza dubbio. Ma soprattutto bisogna mediare tra la tua visione, tra il modo in cui tu viaggeresti e le reali esigenze di viaggio dei clienti. La cosa più importante è la capacità relazionale con i clienti durante il viaggio, perché tu sei lì, con loro, disponibile al 100%. Costruire l’itinerario è forse la cosa più semplice. Il viaggio deve essere intenso e piacevole per tutti, e bisogna fare in modo che tutti accolgano e digeriscano il luogo che visitano, compresi la disuguaglianza sociale o il razzismo. Una delle caratteristiche di chi accompagna questi viaggiatori è saper trasmettere e comunicare anche le problematiche. C’è bisogno anche qui di una mediazione. O di saper risollevare il morale. Servono molta disponibilità e molta empatia. Per il resto: intraprendenza, originalità e curiosità devono sempre esserci.

Tra i viaggi che hai organizzato c’è stato quello per Linus, direttore artistico di Radio DeeJay. Come hai costruito il percorso lungo la Route 66 adatto a lui e alla sua famiglia?

Era la prima volta che facevo il mio lavoro senza esserci, senza essere presente, ma costruendolo per una persona e la sua famiglia. È stato interessante fare un programma di viaggio, non solo l’itinerario che ho costruito in collaborazione con altre persone specializzate, ma anche il programma culturale, i libri da suggerire, le serie tv e i podcast. Volevo che il programma fosse sia generale, con cose che sapevo sarebbero piaciute, ma accompagnato da un menu e da ingredienti più ricercati e più insoliti. Ho cercato di amalgamare i due aspetti e la Route 66 si presta bene a cose più mainstream e mitologiche e ad altre più ricercate. Ed è stata una direzione vincente. Mi piacerebbe fare anche consulenze, preparare programmi culturali anche per altre persone, e chissà che non prendano direzioni diverse. Un’esperienza positiva, e nuova, rispetto a quello che avevo fatto fino a quel momento.


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