Perché è importante saper raccontare bene chi si è
Negli ultimi anni il termine storytelling ha preso piede negli ambiti più disparati: dalle università ai luoghi di lavoro, dal marketing alla comunicazione politica, tutto sembra essere ammantato di storytelling. Se entriamo nel dettaglio del termine – e quindi, della pratica – ci risulta facile tradurre la parola storytelling con un generico “arte di raccontare storie”. Ma quali storie? In quale accezione? Esiste una sorta di pregiudizio intorno al termine, che nasce dall’equivoco di intendere lo storytelling come una maschera, una griglia sovrapponibile alla realtà, e non una parte della realtà stessa, composta dalla somma di due elementi: ciò che accade e il racconto di ciò che accade.
In altre parole: nella società della comunicazione – quella in cui viviamo – non è sufficiente dare spazio ai fatti, ma anche alla narrazione di questi. Al modo, cioè, in cui i fatti vengono organizzati in una narrazione coerente, chiara, che sia aderente al vero ma, contemporaneamente, che sia in grado di trasformarsi in una storia. Una storia è un oggetto narrativo che comunica un messaggio preciso grazie anche alla forma di questa comunicazione: al modo cioè in cui questo messaggio viene confezionato, presentato agli altri, trasmesso.
Raccontarsi, per lavoro
Lo storytelling diventa una pratica fondamentale nel mondo del lavoro dei professionisti, che sempre più si trovano nella condizione di dover intessere relazioni, condividere competenze e favorire scambi e contatti sulla base di punti di forza e aspirazioni. Non un accessorio, ma una parte costituente della propria storia lavorativa.
Una narrazione incisiva è una narrazione in grado di far leva sull’immaginazione, sull’emotività e sulla curiosità dei propri interlocutori: intessere un buono storytelling professionale significa prima di tutto essere in grado di riconoscere il destinatario della propria comunicazione, che sia reale oppure virtuale. Scrivere un post su LinkedIn, fare un pitch di un progetto, sostenere un colloquio di lavoro: tutte queste situazioni richiedono la capacità di attirare l’attenzione e insieme stabilire una connessione empatica, dando spazio in uguale misura alle proprie abilità personali e alle capacità professionali.
Al di là delle situazioni specifiche, delle comunicazioni mirate, l’arte dello storytelling può aiutare a creare una narrazione organica dei propri studi e delle proprie esperienze professionali che non guardi solo al passato, ma che si concentri sul presente e apra delle finestre sul futuro. Il racconto della propria storia professionale non deve limitarsi a dipingere chi si è, ma anche chi si potrebbe diventare.
Una buona storia non è perfetta, né chiusa
Proprio come nei libri, o nelle narrazioni seriali e cinematografiche, una buona narrazione professionale informata dalla pratica dello storytelling si snoda intorno alle tappe fondamentali del proprio percorso e riesce a essere avvincente, a riconoscere l’esigenza di un incipit forte e di un buon punto di arrivo. Non solo: una buona narrazione professionale è onesta e sa indugiare nelle potenzialità ma anche aprirsi al nuovo: non conta solo apparire performanti e impeccabili, ma anche costruire una storia che tenga conto di tutto ciò che si può imparare, migliorare, mettere in discussione. Una buona storia non è una storia chiusa e impermeabile, bensì una narrazione in grado di lasciare degli spazi di intervento, delle occasioni per aprirsi ad altre storie, altre esperienze, altri interlocutori. La permeabilità della propria narrazione professionale non mette a rischio la solidità del racconto, anzi: favorisce la partecipazione, trasforma un atto comunicativo in una conversazione.